Maxiaumenti dell’Iva, assunzioni pubbliche ‘congelate’ fino a metà novembre, meccanismo di ‘freezing’ su 2 miliardi di spesa pubblica a garanzia dei conti. La via per evitare la procedura Ue di infrazione è segnata da tagli per oltre 10 miliardi alla manovra gialloverde, festeggiata sul balcone il 15 ottobre dal Movimento 5 Stelle che sventolava l’obiettivo, indiscutibile, di un deficit al 2,4% per tre anni, ritoccato via via fino a scendere alla nuova, evocativa, soglia del 2,04% (il 2% in tutti i documenti ufficiali) per accontentare Bruxelles. E fare slittare almeno a primavera il giudizio della Commissione, che comunque continuerà a monitorare passo passo gli impegni presi da Giuseppe Conte e Giovanni Tria. Certo la fretta non è mai buona consigliera, e il governo per recuperare 150 milioni è inciampato nel pasticcio dell’Ires sugli enti del no profit, che ha fatto infuriare tutti, dai sindaci al Vaticano, e ha imposto una immediata retromarcia, che si concretizzerà al primo momento utile (probabilmente via decreto semplificazioni già all’esame del Senato). Restano agli atti 4 mesi di frizioni e tensioni prima tutte interne alla maggioranza, poi con la Ue e infine con le minoranze in Parlamento. A settembre il ‘duello’ con il ministro dell’Economia, che cercava di fermare l’indebitamento sotto il 2%, vinta al 2,4% da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, pronti a sfidare i “burocrati di Bruxelles” in nome “del popolo”. Poi la serie infinita di vertici, diurni e soprattutto notturni, per trovare la quadra tra gli alleati sulle misure (condono sì, condono no, solo per ricordare una) ma anche sulle risorse da assegnare a ciascuno. Alla fine la manovra da oltre 37 miliardi era arrivata in Parlamento, con tre settimane di ritardo, portando in dote un ‘fondone’ da 16 miliardi per reddito e pensioni, che Lega e Movimento 5 Stelle sono stati poi costretti a ridimensionare a 3,9 miliardi per quota 100 e 7,1 per reddito di cittadinanza, giustificando il cambiamento con semplici ‘sovrastime’ iniziali dei finanziamenti necessari. Fatto sta che per rendere almeno “accettabile” agli occhi di Bruxelles il progetto di bilancio, anche il ‘governo del cambiamento’ è dovuto ricorrere alle tanto vituperate clausole di salvaguardia, un macigno di 23 miliardi di incassi dall’Iva per il 2020 che salgono a quasi 29 l’anno successivo e che ‘ipotecano’ la prossima manovra. Senza contare l’obiettivo di un maxi-piano di privatizzazioni che dovrebbe fruttare 1 punto di Pil, promesso a Bruxelles nella fase centrale della trattativa, alla prima, parziale revisione del Dpb, e che si potrà realizzare solo se andrà in porto l’idea di una cessione delle quote della partecipate pubbliche a Cdp (ma c’è l’ostacolo della classificazione Eurostat), cui si aggiunge un altro miliardo da incassare dagli immobili, sempre entro i prossimi 12 mesi.
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