Nel corso del 2016 abbiamo assistito al terzo anno di crescita delle compravendite di immobili residenziali portando i volumi compravenduti a sfiorare quota 530.000 con un incremento del 18,9% rispetto al 2015. Siamo ben lontani però dai volumi scambiati a metà degli anni Duemila – oltre 850 mila compravendite – prima che la crisi economica ed immobiliare cominciasse a fare sentire i propri effetti con il dimezzamento del mercato tra il 2006 ed il 2013.
E’ questo il quadro che emerge da un recente studio elaborato da CRIF Real Estate Services, dedicato a un’analisi del mercato immobiliare nel 2016 e un outlook per l’anno in corso.
Nonostante quindi un triennio di crescita di cui l’ultimo è stato nell’ordine del 20%, il recupero dei volumi pregressi non è pensabile neanche a medio termine visto che le previsioni ci parlano che si potrà raggiungere quota 600 mila transazioni solo nel 2019 dopo un percorso molto lento e graduale.
Contestualmente i prezzi di compravendita delle abitazioni sono ancora ampiamente in terreno negativo anche se il loro ritmo di flessione si sta gradualmente asciugando per arrivare ad una sostanziale stabilità l’anno prossimo. La crisi ha sinora ridotto i prezzi circa del 25% in termini nominali, che si portano ad un -35% se togliamo l’inflazione -, da cui rileviamo che essa si è scaricata più fortemente sulle quantità piuttosto che non sui prezzi. Questi ultimi stentano comunque a riprendere causa la persistente abbondanza dell’offerta sul mercato e un’economia che non riparte, nonostante le favorevolissime condizioni sul mercato del credito e quindi il basso costo dei mutui.
Un mercato immobiliare, perciò, che sta ancora languendo, nonostante si percepiscano segnali di miglioramento, ma che ha un passo di marcia molto più lento rispetto agli altri paesi europei dove la ripresa è in atto da tempo e con toni anche molto decisi.
La domanda dei mutui, considerata proxy del volume delle compravendite con un lag temporale di due /quattro trimestri, risulta essere in aumento dal 2014 pressoché senza soluzione di continuità. Per tale indicatore osserviamo infatti una dinamica evolutiva simile a quanto osservato in merito alle compravendite, con tassi di crescita a due cifre (+ 15% nel 2014, +53% nel 2015, +13% nel 2016) anche se oggi in tendenziale decelerazione per la graduale frenata del fenomeno delle surroghe. Esse, infatti, rappresentavano circa il 30% del totale erogato nel corso del 2015, mentre la quota della seconda parte 2016 – l’ultimo dato disponibile si ferma al III trimestre – si attesta al 24%.
L’importante riduzione del costo del debito ha indotto molte famiglie detentrici di mutuo a surrogare il contratto esistente con un altro più conveniente e questo fenomeno ha comportato un graduale passaggio dai mutui a tasso variabile a quelli a tasso fisso, oltre che a ridurre gli importi medi richiesti e le durate dei contratti. Basti pensare, ad esempio, che, se nel 2014 i mutui richiesti a tasso variabile ammontavano al 71% del totale e quelli a tasso fisso erano il 16%, oggi i primi rappresentano il 42% ed i secondi il 56%.
All’inizio dell’anno scorso si riteneva che il fenomeno delle surroghe sarebbe terminato in breve tempo, mentre oggi, dati alla mano, si è notato che, sebbene in diminuzione, l’incidenza delle surroghe è ancora piuttosto rilevante. A tale proposito va sicuramente evidenziato che questo dato rappresenta una media del mercato italiano e che sintetizza situazioni in cui gli istituti di credito sono molto attivi su questo fronte (in particolare quelli più grandi e di medie dimensioni) mentre altri, quelli più piccoli, lo possono solo subire.
I tassi che diminuiscono, l’intonazione economica in lieve ripresa, le politiche selettive da parte delle banche oltre che una maggiore consapevolezza dei prenditori, sono tutti fattori che contribuiscono ad una riduzione del tasso di default dei mutui, ora all’1,4%, livello minimo degli ultimi quattro anni.
In sintesi, possiamo concludere che nel 2016 il mercato del credito ha supportato adeguatamente il mercato immobiliare, ma che comunque quest’ultimo, per poter essere al passo con quanto accade nel resto d’Europa, deve poggiare su fondamentali economici molto più solidi e di maggior respiro rispetto a quanto consuntivato e previsto nel breve-medio periodo.