PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO, TRA PNRR E RIFORMA DEL CATASTO

Il mancato utilizzo degli immobili pubblici è un tema che troppo spesso viene alla luce solo dopo scandali (come il caso di “affittopoli” a Roma), mentre diventa sempre più urgente far conoscere come Regioni e Comuni gestiscono gli immobili pubblici e come ne informano i cittadini.

In questo compito ci viene in aiuto la seguente ricerca, ancora attuale, di Fondazione Etica del 2022 a cura di Paola Caporossi (Fondatrice di Fondazione Etica), Rebeca Cabrea (Analista senior del Centro REP), Giovanna Ciniero (vicepresidente di LU.C.I. Aps), Giame Gabrielli (economista senior in PAGOPA).

Il PNRR ha stanziato fondi rilevanti da investire nella rigenerazione del patrimonio immobiliare pubblico, e, al contempo, il Governo ha avviato il percorso di riforma del catasto, che riguarderà, presumibilmente, tutti gli immobili presenti sul territorio italiano, anche pubblici dunque. Sono entrambe buone notizie. Ma a una condizione: che non si intervenga al buio anche su questo fronte. Troppo spesso in Italia si riforma e si investe senza prima procedere ad una mappatura dettagliata della situazione esistente, mappatura che, invece, è essenziale per investire e riformare miratamente e, dunque, efficacemente.

La preoccupazione di evitare di procedere al buio non è nuova: dieci anni fa l’ha manifestata il legislatore che, con il decreto legislativo 33/2013, ha reso obbligatoria per tutte le PA la pubblicazione, tra le tante informazioni, anche di quella relativa alla consistenza del patrimonio immobiliare pubblico. Quest’ultimo costituisce una ricchezza che il mondo invidia all’Italia, perché composto di molti immobili di valore storico, culturale ed artistico, e, se gestito bene, può rappresentare una fonte di ricchezza per il Paese.

Poter investire nella rigenerazione di immobili pubblici con il PNRR è, pertanto, un’occasione irripetibile e da sfruttare al massimo delle sue potenzialità. Perché questo sia effettivamente possibile occorre che quegli immobili siano prima portati a conoscenza anche dei cittadini e adeguatamente mappati in termini di consistenza, utilizzo, stato di manutenzione e di gestione, che non può essere lo stesso nelle diverse parti d’Italia.

Nasce da qui la decisione del legislatore, nel 2013, di rendere pubbliche le informazioni sugli immobili pubblici, affinché i cittadini possano conoscere la ricchezza immobiliare che li riguarda e, soprattutto, vigilare sul suo buon mantenimento e gestione. I cittadini, anzi, dovrebbero essere messi in grado di contribuire alla scelta della destinazione delle risorse finanziarie del PNRR stanziate per la rigenerazione urbana dei loro territori, e possono farlo solo se prima hanno cognizione dell’esistente.

 

1. RENDICONTAZIONE DI IMMOBILI E TERRENI PUBBLICI

Da quanto appena detto si capisce perché il d.lgs. 33/2013 ha voluto riconoscere ai cittadini due diritti in merito al patrimonio immobiliare pubblico:

– conoscerne la consistenza e l’utilizzo;

– valutare la capacità dell’Amministrazione di gestirlo.

Dunque, un diritto alla trasparenza e all’integrità, nel primo caso, e un diritto all’efficienza, nel secondo.

Sul primo diritto il suddetto decreto, all’articolo 30, dispone che le Amministrazioni pubblichino “le informazioni identificative degli immobili posseduti e detenuti”.

La norma non specifica di quali informazioni debba trattarsi, ma lo spirito è chiaro: fornire agli stakeholder lo strumento per conoscere non solo quali e quanti terreni e fabbricati possiede un Comune o una Regione, ma anche il loro stato di manutenzione, il loro valore economico, il “chi” li utilizza, a quale canone di locazione.

 

  • Comuni capoluogo di provincia

Nei fatti sono ancora molti i Comuni tra i 109 capoluoghi di provincia che si limitano, ancora oggi, a pubblicare un mero elenco di terreni e immobili con elementi informativi insufficienti, che non vanno oltre alcune indicazioni basilari, quali l’indirizzo postale, la categoria catastale e le relative particelle, la destinazione generica (ufficio, asilo, negozio, etc.). È quanto fanno, ad esempio, due Comuni importanti come Roma e Milano.

Quello che si può ricavare, ad esempio, da quanto pubblicato dal Comune di Milano è semplicemente l’informazione che il Comune possiede un’abitazione in via Borsieri, censita al catasto. Niente altro. E ciò costituisce un problema non di mera comunicazione, né solo di trasparenza, ma anche di:

  1. mancata rendicontazione ai cittadini, che sono i proprietari ultimi del patrimonio immobiliare pubblico e che, quindi, hanno il diritto di conoscerne la consistenza.
  2. impossibilità per i cittadini di svolgere un monitoraggio diffuso sulla buona gestione di quel patrimonio.

Sul primo punto, il Comune di Milano non consente ai cittadini, così come al Governo centrale e ai media, di sapere se la suddetta abitazione di via Borsieri è di categoria popolare o superiore, né quale ne è la superficie e/o i vani, né quali sono il suo stato di manutenzione e l’avvaloramento riportato in bilancio. Informazioni tutt’altro che superflue ai fini di una effettiva rendicontazione sul patrimonio immobiliare pubblico.

Sul secondo punto, il Comune non specifica neanche l’utilizzo effettivo dell’abitazione in questione: se è inutilizzata, se è adibita ad alloggio popolare, se a sede associativa. Né, tanto meno, specifica se il locatario paga un canone, e quale, o se gode invece di una concessione gratuita.

Questi aspetti non sono solo di carattere gestionale, in quanto implicano scelte politiche: un Comune ha legittimamente il potere di decidere come utilizzare gli immobili pubblici, ma ha anche il dovere di rendere conto ai cittadini delle proprie scelte al riguardo. Se un immobile è concesso gratuitamente a una associazione no-profit, anziché a un’altra, un cittadino deve poterlo sapere e valutare.

Così come deve poter sapere se un immobile è affittato a un soggetto terzo a un prezzo simbolico, come tante volte è successo e tuttora succede, ad esempio, nella Capitale, sulla quale sono continue le notizie di abitazioni concesse in zone pregiate a canoni irrisori. Solo con queste informazioni i cittadini possono vigilare sulla buona amministrazione del patrimonio immobiliare pubblico.

Ciò nonostante, il Comune di Milano, come quello di Roma, è da considerare “trasparente”, in quanto adempiente verso l’obbligo normativo di pubblicazione di informazioni su terreni e immobili posseduti, ma non può essere considerato “accountable”, in quanto si ferma al mero rispetto dell’adempimento formale senza applicarlo nella sostanza.

Sono accountable, invece, altri Comuni capoluogo di provincia, al Nord come al Centro e al Sud: sono, ad esempio, Prato, Perugia, Macerata, Sassari e Biella. Prato pubblica le informazioni relative alla superficie dei beni e al loro valore di acquisto, mentre Macerata distingue la destinazione e il valore in bilancio.

Complessivamente, solo un quarto dei Comuni capoluogo di provincia risulta pubblicare informazioni sufficienti sul patrimonio immobiliare pubblico posseduto.

 

  • Regioni

Pressoché speculare risulta l’accuratezza delle Regioni nella pubblicazione di informazioni sui propri immobili. Anche tra le Regioni benchmark, infatti, ci sono quelle, come la Toscana, che si limitano a pubblicare informazioni minime assolutamente insufficienti per informare i cittadini.

Il benchmark per questo indicatore si conferma da anni una Regione che complessivamente non risulta performante, ma che lo è in questo settore: l’Abruzzo.

La Regione Abruzzo pubblica per ogni immobile una fotografia, che ne rende immediatamente evidente lo stato di salute e il pregio; una descrizione accurata del bene e della sua estensione con il numero dei piani; l’effettivo utilizzo e l’utilizzatore; la modalità di acquisizione; il valore; il reddito annuo che produce. La Regione si preoccupa anche di fornire una tabella riassuntiva del patrimonio immobiliare, molto utile per il cittadino, e non solo, come mostra la figura seguente.

L’Abruzzo si distingue anche per l’importante funzione che attribuisce al patrimonio immobiliare pubblico, così descritto nel suo sito web:

“rappresenta una risorsa fondamentale e strategica per l’azione pubblica dell’ente sia quale potenziale fonte di finanziamento sia quale strumento di sviluppo dei territori. Assumono, quindi, un ruolo cardine tutte le azioni volte alla valorizzazione dei beni con ciò intendendosi quelle attività finalizzate alla conservazione, 7 adeguamento, razionalizzazione e trasformazione funzionale dei beni stessi così da garantirne la maggiore redditività ovvero la più ampia fruizione socio-economica da parte della collettività”.

È esattamente lo spirito della citata norma del 2013.

Anche il Lazio e la Basilicata rendicontano il patrimonio immobiliare in modo più dettagliato rispetto alla maggioranza delle Regioni, anche se non al livello dell’Abruzzo. Ad esempio, la Regione Lazio specifica, oltre ai dati catastali dell’immobile, se il bene è sfitto, indicando l’eventuale canone con la durata del contratto; indica, poi, la sua estensione, il reddito dominicale e agrario, il valore catastale e quello di mercato. La Basilicata specifica il valore catastale, l’eventuale presenza di vincoli architettonici, il valore dell’immobile, gli anni di ammortamento, il costo storico, la rivalutazione e svalutazione.

 

2. CAPACITÀ DI GESTIONE DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO

L’articolo 30 del d.lgs. 33/2013 garantisce ai cittadini anche un secondo diritto sul patrimonio immobiliare pubblico, oltre quello di un’adeguata rendicontazione: è quello relativo al diritto di valutare la capacità delle PA di gestire anche economicamente quel patrimonio.

Le PA, infatti, hanno l’obbligo di pubblicare annualmente sul proprio sito web, nella sezione Amministrazione Trasparente, “i canoni di locazione o di affitto versati o percepiti.”

Ciò consente di stabilire se il Comune, o la Regione, riesce a ricavare dagli immobili pubblici locati importi superiori a quelli che paga per prenderne altri in locazione per le sue esigenze operative, mettendo a confronto i canoni attivi con i canoni passivi in rapporto alla popolazione della singola Regione o Comune. Un valore positivo indica che le entrate derivanti dagli affitti attivi sono sufficienti a coprire le spese degli affitti passivi.

Poiché molti Comuni e Regioni continuano a non pubblicare quell’informazione in AT, si è ricorsi alla banca dati SIOPE (Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici), dalla quale è possibile ricavare, per ogni Ente pubblico, informazioni relative agli incassi e ai pagamenti effettuati.

 

  • Comuni

Per i Comuni il risultato positivo è che circa due terzi dei Comuni, nel 2020, risultano guadagnare dalla gestione del proprio patrimonio immobiliare: alcuni molto, altri molto poco. Tra i primi nel ranking, risultano Milano e Firenze (oltre 50 euro pro-capite); tra i secondi, Arezzo e Sondrio (1 euro pro-capite).

I migliori risultati al Sud appartengono a Cagliari, con 33 euro p.c., e Caserta, con 16 euro.

Alcuni Comuni chiudono la gestione delle locazioni sostanzialmente in pareggio: sono Latina al Centro, Andria e Foggia al Sud, Udine al Nord.

Chiude la gestione in perdita, invece, un terzo dei Comuni. L’ultimo posto occupato da L’Aquila (- 27 euro p.c.) è riconducibile all’evento calamitoso subito, mentre il penultimo di Roma (-21) presumibilmente alla vastità del patrimonio immobiliare artistico di cui dispone.

Sopra i 10 euro p.c. di perdita si collocano anche Genova e Padova.

Una gestione in rosso può avere diverse motivazioni. Ad esempio, lo stato di salute di un immobile può necessitare di interventi di ristrutturazione consistenti e non sostenibili finanziariamente dal Comune, al punto da rendere più conveniente, nel breve termine, prendere in affitto un immobile privato. Una scelta questa non senza conseguenze, in quanto privilegia la spesa corrente in locazioni anziché quella in conto capitale tramite l’accensione di un mutuo finalizzato a ristrutturare l’immobile pubblico inagibile: nel primo caso, si tratta di un costo secco; nel secondo, di un investimento. Gli esiti per la comunità, come è evidente, sono profondamente diversi in una prospettiva di medio-lungo periodo.

Un Comune può anche decidere di affidare alcuni immobili gratuitamente, ad esempio, ad associazioni no-profit: una scelta politica legittima, ma non senza conseguenze economiche.

 

  • Regioni

Per le Regioni, nel 2020, risulta che solo la Lombardia raggiunge un risultato positivo, anche se di poco superiore allo zero.

Tutte le altre Regioni presentano un saldo negativo, che per nove di esse supera 1 euro p.c.

La Valle d’Aosta presenta il saldo peggiore, con -23,8 euro p.c.: il dato è influenzato anche dalle ridotte dimensioni demografiche della Regione, ma il livello assoluto di spesa per l’affitto passivo di immobili, pari a oltre 4 milioni di euro, si colloca nella fascia medio-alta di spesa tra le Regioni italiane, influenzando in senso negativo il valore finale dell’indicatore.

In merito al saldo totale degli affitti, si osserva che la Regione Sicilia, Regione Emilia-Romagna e Provincia Autonoma di Trento presentano il maggiore gap tra gli affitti attivi e passivi (cfr. figura sotto): in particolare, la Regione Sicilia, con circa 33 milioni di affitti passivi, rappresenta circa il 30% del totale pagato dalle Regioni.

In termini assoluti, le Regioni che ottengono i maggiori incassi derivanti dalla locazione di beni immobili sono la Regione Lazio, la Provincia Autonoma di Bolzano e la Regione Campania, mentre le Regioni Abruzzo e Basilicata non presentano incassi.

 

(Giacomo Perini)