Si è svolto lo scorso 27 gennaio a Roma, presso la Casa dell’Architettura il convegno “La citta del futuro. Roma 2030 l’architettura come risorsa” con la presentazione della ricerca del Cresme “Architetti e architettura nella città del futuro” illustrata dal direttore dell’istituto di ricerca Lorenzo Bellicini.
“Oggi abbiamo voluto compiere un ulteriore passo di approfondimento e di riflessione sull’idea di futuro della città, ha sottolineata in apertura Patrizia Colletta, Presidente del Dipartimento “Progetto sostenibile ed efficienza energetica” OAR, partendo dalla conoscenza delle strategie e dei programmi che le altre capitali europee hanno messo in campo per progettare il loro futuro.
Nell’evoluzione che sta vivendo la società globale e la città del futuro si colloca anche il ruolo dell’architetto e dell’architettura, la nostra professione e l’idea della società del futuro.
Una giornata di riflessione e dì partecipazione che sì pone un obiettivo ambizioso: poter riavviare un percorso di partecipazione e di condivisione di tutte le forze, di tutti i soggetti per la costruzione di un progetto di città, per la nostra città, per questa meravigliosa città che lentamente è scivolata nel degrado e nell’incuria. Anche questo luogo per noi è un luogo emblematico, è stata una scommessa la Casa dell’Architettura, come le altre Case, quella del Cinema, del Jazz, molti anni fa l’idea era quella di avere un luogo aperto ai cittadini, alle forze produttive e professionali per discutere di architettura e di città, dei grandi progetti di trasformazione e del grande progetto della qualità diffusa della città, un vero e proprio urban center dovei cittadini potessero confrontarsi e conoscere il progetto della città e il futuro dei loro quartieri.
Oggi la necessità è quella di ricominciare ad avere una visione strategica della città e noi architetti vogliamo fare la nostra parte; per quello che ci compete e vorremmo che ognuno nel proprio ambito professionale, istituzionale, produttivo prendesse parte attiva alla costruzione di questo percorso di rinascita culturale e politica.
Le città metropolitane saranno le protagoniste del XXI secolo, anche in Europa nonostante il processo di invecchiamento e le trasformazioni demografiche. In realtà la ricerca predisposto dal CRESME per conto dell’ACER evidenzia che le città nel futuro si divideranno tra “… quelle che vincono e quelle che perdono” indipendentemente dalla loro dimensione vince chi ha più capacità attrattiva e maggiore offerta di lavoro. La capacità attrattiva è il nodo principale sul quale si gioca la competizione e dipende dalla capacità di funzionare, dal sistema delle regole, dalla qualità della vita, dalla capacità di innovare, di essere in grado di fronteggiare la sfida ai cambiamenti climatici con piani di resilienza e di adattamento.
Parigi con il “Grand Paris”, Londra passa dallo “Smart London Plan” del 2011 al ‘Piano per lo sviluppo infrastrutturale del 2050″, Berlino con la “Smart city Strategy”, Stoccolma con “Symbiocity” al 2040, Amsterdam con il piano “Amsterdam 2040: forte economicamente e sostenibile” solo per citare alcune delle metropoli oggetto dello studio del Cresme, queste competono essenzialmente su quattro elementi fortemente integrati tra loro: il primo, sono dotati di piani espansivi basati sulla trasformazione ma prevedono anche nuova urbanizzazione; il secondo, hanno piani per affrontare la rivoluzione della digitalizzazione e diventare delle vere e proprie smart city; il terzo, predispongono piani per la qualità ambientale, dell’aria, della resilienza, della difesa dal rischio delle acque in sintesi hanno dei veri e propri piani per la sostenibilità ambientale e in ultimo, ma non meno importante, hanno i piani per le infrastrutture, l’armatura urbana fatta di ferrovie, metropolitane, strade verdi, mobilità collettiva e servizi essenziali.
Ogni città per competere nello scenario internazionale disegna il suo futuro, individua le priorità e si pone degli obiettivi con un tempo certo,
E Roma? Come disegniamo il suo futuro, quali progetti realizziamo per stare nella competizione internazionale, per diventare attrattivi e garantire opportunità ai cittadini? Se è vero che la città è il luogo dei conflitti e delle opportunità oggi purtroppo dobbiamo constatare che l’ago della bilancia segna più conflitti e disagi, più disuguaglianza e maggiore distanza tra il centro e la periferia.
È da molto tempo che, riflettendo sull’urbanistica e sull’architettura, si è consolidato in me il convincimento che solo con un approccio olistico e integrato, che parta dalle esigenze dì rendere sostenibile l’ambiente urbano, di migliorare la qualità urbana e infrastrutturale, di garantire la sicurezza strutturale e la prevenzione dai rischi naturali ed antropici, si possa affrontare la grande sfida di progettare il futuro di una comunità e di conseguenza della città.
I temi sono svariati, ognuno propone la propria ricetta più o meno consumata, alcune tematiche sono diventate dei veri e propri mantra, pensate alla parola sostenibilità, riuso, rigenerazione, pianificazione, riqualificazione che non diventano realtà, che non si traducono in risultati di miglioramento concreto delle condizioni di vita e di lavoro di uomini e donne stritolati dai problemi dell’esistenza.
La domanda da porsi è perché i piani non si attuano, i programmi non si realizzano, i progetti restano tali e quello che esiste, in termini di patrimonio e di valori sociali ed economici, viene sopraffatto dal degrado.
La risposta la trovo nell’assenza o meglio nell’incapacità di avere e di perseguire con tenacia una visione di futuro della città. Tale coscienza mi deriva analizzando la situazione che si è determinata da lungo tempo, dove le paure hanno lasciato molto più spazio che ai desideri e ai sogni più belli delle persone, soprattutto dei più giovani”. Così, citando Italo Calvino, penso si possa inquadrare una nuova visione della città e della professione nell’era della lotta globale tra inclusione e marginalizzazione, nell’epoca dei cambiamenti climatici e dell’intelligenza artificiale.
Nel futuro delle città e del territorio, nella sua trasformazione e conservazione, del mondo delle costruzioni troviamo anche una parte rivelatrice del futuro degli architetti. La ricerca del Cresme mette in evidenza che è necessario ripensare completamente il ruolo della professione affinché sia funzionale ad una società che esprime dei fabbisogni da una parte insoddisfatti e dall’altra oggi solo annunciati.
Un architetto che diventi regista del processo di pianificazione del futuro, in grado di dialogare con i diversi saperi con un approccio multidisciplinare, detentore di know now in grado di seguire il processo di innovazione partendo da quello che Vitruvio individuava come “l’architetto magnanimo, e che non sia presuntuoso, ma all’opposto condiscendente, equo, fedele a ciò che è più importante, senza avarizia; giacché nessun opera può essere fatta seriamente senza fedeltà e senza onestà”.
Un architetto con la “schiena dritta” capace di diventare protagonista delle “rigenerazione etica” della nostra società, che sappia condividere un nuovo progetto di convivenza civile rifiutando l’adattamento silente alle regole del clientelismo e delle pratiche corruttive. Un architetto che non si rassegni, come dice Raffaele Cantone, a vivere in un paese corrotto e che risponda alla necessità di ripartire con nuove regole che restituiscano dignità ed efficienza al nostro Paese. Burocrazia e ipertrofia normativa hanno ucciso la nostra progettualità, è vero ed è per questo che spetta anche a noi riportare chiarezza e semplicità nelle regole della convivenza civile, rifiutando ogni azione che palesi attività collusive e correttive. Partiamo da noi sapendo bene, come dice Sergio Rizzo nel suo ultimo libro “La Repubblica dei brocchi”, che “non può essere attribuibile al solo caso o alle debolezze storiche della cultura e dell’ethos nazionale, se la classe dirigente che siamo riusciti a esprimere ha messo il paese nelle condizioni attuali e portato le grandi imprese, molto spesso al loro declino” e ancora nella quarta pagina di copertina “non sanno usare il congiuntivo. Pensano solo al loro interesse e spesso senza neanche molta furbizia. Non conoscono vergogna, non prendono lezioni da nessuno. Sono mediocri, ma si credono i migliori. E sono la nostra classe dirigente.”
Ma questo non basta. È necessario riaprire il dibattito culturale e interrogarci sui temi del progetto e degli strumenti per il governo delle città.
In questo processo di rigenerazione etica, ha concluso Colletta, l’architetto deve assumere “funzioni di leadership intellettuale, culturale e professionale, integrando le conoscenze per garantire il rinnovo sostenibile della città. Nel processo di qualificazione della domanda di rigenerazione edilizia, urbanistica e territoriale, il professionista dovrà assumere un ruolo di grande responsabilità, dovendo affrontare con determinazione e sistematicità il tema del salto di scala del rapporto tra identità e innovazione, tra consumo illimitato ed equità di accesso alle risorse, tra innovazione tecnologica di processo e di prodotto e più servizi, tra governo della cosa pubblica e nuovo partenariato privato”.
L’architetto oggi deve essere in grado di interpretare “… una idea molto concreta di convivenza civile e di rapporto con la propria storia e l’ambiente che ci circonda”, di realizzare una evoluzione continua dell’idea di città e della sua capacità di soddisfare bisogni, attese e anche i sogni di chi vi abita”. Per tale motivo l’architetto deve essere il portavoce delle “scintille della bellezza” come indicato nel messaggio inviato alle Accademie Pontificie per la XXIII riunione annuale da Papa Francesco, piccoli interventi a carattere urbanistico, architettonico e artistico attraverso cui ricreare, anche nei contesti più degradati e imbruttiti, un senso di bellezza, di dignità, di decoro umano prima che urbano”.
Un grande progetto per innalzare la qualità urbana? Qualità urbana e qualità della vita spesso sono utilizzati come sinonimi per indicare il livello di prestazioni richieste dalla comunità al “sistema città” ed è per questo che la qualità urbana ha insito un carattere dinamico che dipende dalle condizioni storiche, sociali ed economiche. Non è il risultato meccanico di una proposta o di un modello culturale imposto, ma è l’esito di un processo con il quale si realizza concretamente, attraverso appunto la rigenerazione “etica” della collettività. Legalità, solidarietà, condivisione ed equità rappresentano, in questo momento storico, in particolare per Roma, i valori sui quali impostare qualunque programma per la rigenerazione della città, per superare l’insopportabile distanza tra le centralità e le marginalità e per affermare che un piano o un progetto possano realmente diventare opportunità di sviluppo per i cittadini del 2030.